The Zero Theorem di Terry Gilliam: recensione

Nel mondo di Terry Gilliam c’è chi anela la propria solitudine dentro una cappella abbandonata in attesa di scoprire il motivo dell’esistenza umana. C’è chi è un genio della programmazione e chiama tutti Bob per non sprecare neuroni e, non ultimo, c’è un misterioso e camaleontico Management che appare e scompare inseguendo il proprio business di dati esoterici. Già per questo The Zero Theorem andrebbe visto, ma se non bastasse, alla distopica e coloratissima visione del regista si aggiunge la presenza del soave Christopher Waltz, della grottesca analista virtuale Tilda Swinton e della riscoperta Mélanie Thierry nei panni della tentazione incarnata. 
Dall’angoscia esistenziale all’assurdo sovrastante poi i riverberi orwelliani del cineasta ritornano quasi tutti. Gilliam compone un lavoro di ripresa e di aggiornamento nel quale se al tempo di Brazil erano le impennate oniriche a immaginare una società diversa, oggi il sogno è interrotto dal disincanto. Qohen Leth è l’eccentrico protagonista di questo futuro, nonché la sua antitesi; il tarlo di una comunità che non si pone domande, che scorre in una vita operaia senza scopo dove la vastità degli automatismi ha sostituito quella della speranza.
Allora qual è il senso della vita?
A capo del quesito dal peso d’oro c’è l’innominabile Direzione "Mancom" impersonata dall’uomo d’affari Matt Damon. <<C’è denaro nell’ordinare il disordine>> dice, dentro una falsa rete di umanità che rende fruttuosa la fede e pecuniaria la perdita d’identità. La Teoria imperante è che <<zero deve essere uguale al cento percento>>: dove tutto è iniziato andrà a finire e quello che c'è nel mezzo è puro profitto.
Secondo il Teorema Gilliam alloggiamo in questa dimensione infame. L’allegoria incessante dei processi in download e upload ci dice che siamo frammenti caricati e scaricati su video, pedine a cui è concesso un fasullo libero arbitrio e che partecipano a feste in maschera di felicità ignoranti e di indifferenze condivise. Intanto la pubblicità insegue i nostri desideri e i desideri a loro volta diventano entità fruibili, materiale di marketing e di passioni irreali.

È immanenza come dato di fatto, "caos condensato" dove Qohen si esaurisce, entropia dentro cui salta un altro dei tormentati e amabili personaggi del regista. Waltz è l’ultimo tra i suoi superstiti a bramare un senso, a confidare in un’epifania esistenziale in grado di svelargli il perché della vita. Gilliam intacca ancora l’inquietudine con la comicità e rifiuta l’idea di essere mero strumento, ma lo scherzo cosmico non si ribalta più con la forza eversiva di un tempo, i cavi del sistema che sconnette si reinstallano automaticamente in un buco nero di accettazione.
L’esistenza nel suo futuro, neppure troppo lontano, è in mani demaniali e demoniache, l’ultimo lembo di speranza si è perso nel medesimo caos e, The Zero Theorem, è il suo evidente apice fantascientifico di (reale) disillusione.

 

Scheda film
Titolo: The Zero Theorem
Regia: Terry Gilliam
Sceneggiatura: Pat Rushin
Cast: Matt Damon, Christoph Waltz, Tilda Swinton, Ben Whishaw, Peter Stormare, David Thewlis, Melanie Thierry, Lucas Hedges
Musiche: George Fenton
Genere: fantascienza
Durata: 107’
Produzione: MediaPro Studios, Voltage Pictures, The Zanuck Company, Zanuck Independent
Distribuzione:
Nazione: Usa
Uscita: ---
Presentato in concorso alla 70ª edizione del Festival di Venezia 2013.
La recensione si riferisce alla versione del film in lingua originale.

MissKdC

«La televisione crea l'oblio, il cinema ha sempre creato dei ricordi»

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