Se c’è una cosa di cui Cameron Crowe è sicuro è che l’amore ci salverà tutti. Che sia quello che manca, che insegna, che sconvolge o che impazzisce è evidente che rimane la sola e immancabile presenza di una filmografia lunga una vita.
Anche in Aloha il regista lo conferma, con la sottile differenza che questa volta aggiunge una sottotrama di sovrannaturalità e di simbolismi, dettata dalla magia dei luoghi in cui ambienta la storia e dalla forza spirituale del Mana che fluttua nell’aria.
Siamo alle Hawaii e Brian Gilcrest (interpretato da Bradley Cooper) è un negoziatore militare impegnato a rimettere a posto la sua carriera e a sanare anche i disastri del proprio universo affettivo. Tuonano poi nella sua vita relazioni tra uomini e donne, legami in crisi e altri che sbocciano, realtà difficili e colonialismi americani, ma soprattutto echeggia nel film qualcosa di già raccontato. L’ultimo lavoro di Crowe è come se riassumesse tematiche, ruoli e situazioni tanto care al regista da non riuscire ad allontanarsene. Tutto sembra un accenno, una mescolanza, un’aggiunta di cento minuti che non approfondiscono nulla. Sarà per una trama montata alla meno peggio (per scelte sbagliate, produzione, costi o tempi non è dato sapere), ma ne esce fuori una reincarnazione di Elizabethtown montata a un parossismo di Jerry Maguire. Simpatico sì, ma senza slancio.
Anche in Aloha il regista lo conferma, con la sottile differenza che questa volta aggiunge una sottotrama di sovrannaturalità e di simbolismi, dettata dalla magia dei luoghi in cui ambienta la storia e dalla forza spirituale del Mana che fluttua nell’aria.
Siamo alle Hawaii e Brian Gilcrest (interpretato da Bradley Cooper) è un negoziatore militare impegnato a rimettere a posto la sua carriera e a sanare anche i disastri del proprio universo affettivo. Tuonano poi nella sua vita relazioni tra uomini e donne, legami in crisi e altri che sbocciano, realtà difficili e colonialismi americani, ma soprattutto echeggia nel film qualcosa di già raccontato. L’ultimo lavoro di Crowe è come se riassumesse tematiche, ruoli e situazioni tanto care al regista da non riuscire ad allontanarsene. Tutto sembra un accenno, una mescolanza, un’aggiunta di cento minuti che non approfondiscono nulla. Sarà per una trama montata alla meno peggio (per scelte sbagliate, produzione, costi o tempi non è dato sapere), ma ne esce fuori una reincarnazione di Elizabethtown montata a un parossismo di Jerry Maguire. Simpatico sì, ma senza slancio.
Perciò prendere o lasciare: prendere l’impegno del cast, la musica o le simpatiche scenette mute con sottotitoli e lasciare l’aspettativa di una commedia solida e indimenticabile. In fondo accanto alle problematiche sfiorate e sistemate con un colpo di spugna restano la dolce ex fidanzata Rachel McAdams, l’adepta tutta occhi ed energia Emma Stone, la comica ira di Alec Baldwin e i “chilometri d’azzurro” degli occhi di Cooper. Resta poi anche Crowe, il ritorno di una mano esperta un po’ confusa e le polemiche che ha scatenato sull’assenza dei nativi del posto all’interno del film. Ad ogni modo mandare giù il boccone è semplice, ricordarselo invece è una questione (guarda caso) …di cuore.
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