Holy Motors è il film del decennio - recensione

Ogni giorno il Signor Oscar (Denis Lavant) percorre le strade parigine in una limousine bianca guidata dalla fedele Céline (Edith Scob). Il suo lavoro è compiere brevi missioni esistenziali interpretando ruoli diversi. 

Nella prima scena di Holy Motors il regista Leos Carax è dietro e pure davanti al video, noi lo guardiamo e lui ci guarda. Si è svegliato in piena notte per affacciarsi su una sala cinematografica nella quale c’è un pubblico immobile: un’istantanea in cui per un momento chi sta guardando il film fissa se stesso dall’esterno, come una simbiosi emozionale tra chi partecipa e chi invece osserva. Il suo è un dialogo aperto, surreale e paranoico, oltre tutti gli schemi e gli schermi che siamo abituati a vedere.

Seguono nove appuntamenti per nove identità diverse: Denis Lavant è l’uomo d’affari, il mendicante, l’ operaio di Motion Capture, il barbone, il padre, il morente, l’ assassino e l’ assassinato, di volta in volta esce dall’auto completamente trasformato per eseguire un compito carico di illusioni. Reale e virtuale si incontrano in trame costruite, in vite recitate e in intermezzi musicali. Sono proiezioni di esperienze che riguardano quella bellezza del movimento a cui l’attore stesso accenna in un dialogo con un ipotetico regista: se la bellezza è nell’occhio di chi guarda, ma non c’è più nessuno a guardare? Qui si rivela il “motore” del film, che è superficialmente un gioco di ruoli, ma nasconde nella miseria, nell’amore e nella solitudine portate in scena un sentimento più profondo: l’identità del cinema.
Carax si chiede dove siano le macchine, i “Motori Sacri” del titolo e dell’azione, dove sia andata a finire “la bellezza del gesto”. Gesto che mette nelle mani e nell’interpretazione di Oscar, un uomo senza un apparente passato e con un presente anonimo destinato a reiterare se stesso. Perso tra le facce, ma anche tra le macchine, che non filmano più e stanno scomparendo. Il cinema è solo, come lo è Oscar, al tempo stesso uno, tanti e nessuno, fantasma in opera e dell’opera.

Nella realtà di Holy Motors si osserva il grottesco e l’azione, la tecnica e il dramma, generi coscienti di quell’arte che sta perdendo le “macchine visibili” elette a inquadrarla. Quando termina la finzione non si può sapere. Holy Motors è un cinema nel cinema, una dichiarazione d’amore di un regista che regala un viaggio estremo della condizione umana in cui un individuo trasforma se stesso in qualcuno e qualcos altro, diventa persona e personaggio, capace di morire e rivivere in nome dell’arte. Un film scombussolante, speculare, camaleontico, robotico, erotico, con cui Carax fonde arte d’emozione in cui non è importante rintracciare una logica assoluta o uno scopo garantito.
Compreso Oscar, ognuno se ne andrà a dormire in una nuova recita o in casa propria, con il dubbio che il regista si sia rivolto principalmente agli occhi chiusi in quella fotografia spettrale d’inizio, che sono d’altri, ma sono anche i nostri, incapaci forse di guardare dentro e oltre lo schermo.

Traccia dal film >>> qui.
Citazione.

MissKdC

«La televisione crea l'oblio, il cinema ha sempre creato dei ricordi»

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